Improvvidamente correvano alla foce; inaspettata, carezzarono la fonte...
Intrigante, a volte estraneo, spesso misterioso, il teatro – oggetto fuori mano – attrae desideri imprecisati, clamori enigmatici. Bellezza indefinita, seduzione intangibile, gode di un fascino a distanza, lontanando quanto più si avvicina.
Un'aura oscura lo circonda dalla notte dei tempi, specchio degli specchi, suggellante l'umano passaggio nel mondo. Avrebbero mai potuto gli uomini, più curiosi della curiosità che li catturava, immergersi nelle loro stesse creazioni, in un fiume di rivelazioni? Necessariamente, invertendo la direzione di marcia; sollevando all'orizzonte lo sguardo riflesso nell'acqua; controcorrente, risalendo la foce.
Nei giochi dei contrari non è vero ciò che appare; il buio illumina radici primigenie per chi si lascia andare fluttuando con la natura, mai sistemato e compiuto, perennemente creativo, cogliendo tempo mutato in nuovo tempo, spazio in nuovo spazio.
Processi inesorabili accendono impulsi primari, aprono varchi ignoti, sollecitano passaggi sofferti, percorsi liberatori. La catarsi ha sapori senza età. In un gioco di rifrangenze brillano fulgori inaspettati. È la saggezza dei poeti consegnata a corpi in vita, a tracce lasciate esplorando slanci consapevoli, potenzialità nascoste e nuove sensibilità.
L'atto estremo è un sacrificio: il perenne affiorare al mondo abbandonando ogni certezza, andando alla deriva, dono senza "fine", cancellando confini conosciuti per scoprire nel già noto terre nuove. Patti non scritti sulla scia dei desideri, porte spalancate a fluidi magnetici, irrorano molteplici punti di vista sulla totalità circostante. Giunti al pubblico, danno al viaggio un senso compiuto, momentaneamente. Poi, rimbalzano altrove. Resta una traccia, mai blandamente rassicurante, matrimonio consumato allo svanire del talamo. Il frutto è un passaggio, dolce o amaro, ogni teatro ha una sua poetica e un suo pubblico, nell'oltre dato per avvicinare la propria essenza. Lo sanno bene gli attori che danzano tra gesti, voci, parole; riferimenti spaziali, visivi, sonori, simultanei e diversi, alludenti a un tutto fatto di nulla, micro–universo in cui, superate le distanze, eliminate le separazioni, si rinnovano relazioni tra gli esseri. L'origine balza avanti.
E tornarono al punto di partenza...
Dove la materia spettacolare affiora da corpi trasformati, stimoli plurisensoriali li attraversano in accordo o in contrasto con la loro indole; le maglie della coscienza si allargano, pervase da un senso e dal suo contrario; si sviluppa elasticità, rafforzando capacità di adattamento e reazione.
La scrittura corporea impone la ricerca dettagliata dei particolari: applicazioni precise, logiche, coerenti. Zavorrando lo spontaneismo si illuminano libertà conquistate attraverso messe in gioco senza inibizioni, fucine di apprendimenti forgiati in perenni esposizioni, perché lo scoprire implica fondamentalmente uno scoprirsi.
La spontaneità non è virtù di primo impeto, consegue al superamento delle convenzioni. Il teatro vive in memorie emotive consce e inconsce, personali e collettive, mai banali, individualistiche. L'arte emana da un'energia creativa: accomuna, dà calore, produce affettività... e si sgretola, cambiando in negativo il suo segno, quando la investono produzioni stagnanti, chiuse su se stesse.
Fu una corsa ad ostacoli...
Tra staccionate invisibili, terreni aridi, letture controverse della realtà, la poesia teatrale non è condivisibile. Molteplice per sensi e fervidi impulsi vitali, la sua storia rinvigorisce desideri, auspica rinnovamenti, genera confronti, stimolando creatività ispirate al cuore dell'esistenza. Per lungo tempo abbiamo sperimentato questa dicotomia, praticando territori sconnessi, regolati, più che altrove, dalla legge del più forte. Una ragione subdola ha steso trappole ignobili, valutando la quantità a scapito della qualità; infiltrando nelle griglie relazionali un nemico subdolo, sottile, sordo, speculare in periferia agli aspetti retrivi del centro. Nemico ostile allo sviluppo, alle società in movimento, all'essere cosciente, insomma, all'emancipazione etica e civile.
Nulla di nuovo sotto il sole...
Ma paradossalmente è stato il teatro, perché svela, trae in luce, palesa trucchi, travestimenti, identificando strutture mentali portanti: l'agire, ad esempio, occultando presenza e potere. L'evidenza è identificabile, esprime debolezza. Meglio restare nell'ombra, travestirsi ed agire con decisione, dopo aver messo a punto un consenso regolato dal timore.
Ma chi si mimetizza, indossando una maschera, diventa l'oggetto delle maschere. La maschera lo imparenta al teatro che non può amare. Il teatro stimola esperienze, pratiche socializzanti, esigenze relazionali; elide la perdita di contatto, la dimenticanza indotta per dominare l'esistente reso immobile e uniforme. Mentre lo spiegamento di forza si mimetizza nel sorvegliare il consolidamento dell'ordinario, il teatro sperimenta evoluzioni, riscrive eventi oltre la soglia di stabilizzazione.
Oltre la patina buia, c'è un luogo chiaro, contaminante, che presuppone pensiero autonomo e libera scelta, implica sensibilità estranee ad accomodamenti e dissimulazioni. L'abito scenico permette sempre il riconoscimento di un soggetto, la sua identità, l'autenticità mossa per non farsi rubare l'anima. È storia di resistenze al freddo e al caldo torrido, per trovare la strada dove il terreno viene a mancare, rinvenendo semi giunti da lontano a testimoniare esercizi di cambiamento.
C'erano una volta, comici riuniti in compagnia,
i più nobili tra loro costituivano "famiglie"
incontaminate da sudicia violenza.
Uomini dotati di geloso senso dell'onore, leali
nell'infinito coraggio, combattenti a viso aperto.
La loro vicenda da cinquecento anni esiste
per modificarsi regolarmente,
formando e trasformando
desideri incollocabili nelle direzioni abituali,
nei modelli tipici di omologazione.
Come una storia di periferia...
Microscopio della storia
dove si cerca sempre
ciò che manca o viene negato,
dove gli strumenti usati
si rompono:
non sono rispettati,
si costruiscono platee
per carrieristi ingombranti.
*Clemente Napolitano, Il teatro dell'impervio, "Officina Vesuviana", 2001, n° 2.